Mag
17
Tutto di me
Massimo

Era quasi l’alba di un freddo mattino di Febbraio quando, a Istia, venni al mondo.
Mio padre e mia madre, dopo avremi atteso per undici anni, si guardarono e di dissero “ce l’abbiammo fatta, sarà lui, sarà l’unico”
Non hanno mai saputo quale fosse la causa dei ripetuti vani tentativi nel decennio precedente. Arrivati ormai quasi alla rassegnazione di non avere figli, avevano seguito il consiglio (?) del medico condotto… “prova a far cambiare aria a Fosca”. Mio padre lo prese alla lettera e, approfittando del fatto che lavorava come muratore in un cantiere a Massa Marittima, prese un appartamento nel luogo e lì avvenne il “miracolo”, mia madre rimase incinta. In onore del luogo decisero di chiamarmi Mass…imo.

Mio padre non era nato a Istia. Vi era arrivato giovanissimo con la madre, un fratello e due sorelle, da una frazione vicina, Baccinello.
Mio nonno paterno era un carabiniere che perstava servizio in Sardegna. Un giorno, volendo vendicare un amico fraterno che aveva subito un grave torto dal signorotto locale ed avendo notato come, grazie agli appoggi e alle conoscenze importanti, decise di vendicarlo. In aperta campagna attese il passaggio del signorotto dalle sue proprietà. Quando questi arrivò, gli si parò davanti al calesse costringendo il cavallo a fermarsi, puntò il fucile ed al grido di “questo è per tutti i Gavino che hai rovinato, sparò. Con il cadavere del suo “nemico” si presentò al comando della sua tenenza e si auto denunciò. Lo stato di servizio era impeccabile ed i suoi superiori non se la sentirono di accusarlo. Non si sa bene come risolsero il fatto. Mio nonno fu mandato via dalla Sardegna. Destinazione provvisoria un paesino del modenese, dove conobbe e sposò mia nonna. Dopo pochi anni altra destinazione, la Maremma, dove prese la malaria e morì.
Mia nonna con i soldi che lo stato le riconobbe per il servizio del nonno, prese i figli ed arrivò a Istia. Con 1.500 lire comprò quello che, un tempo, era il palazzo della curia nel castello e lì, fino alla sua morte, visse con i figli.
Per tutti a Istia, mio padre diventò subito (da Angiolino) Lillino. Gli altri, Giovanni Adriana e Luciana, mantennero i loro nomi senza storpiature. Tutti, però, venivano identificati come “il figliolo (o la figliola) della sardegnola”. “Sardegnolo” non era dispregiativo, era soltanto (anche oggi) che nel parlar comune, in Maremma, uno che viene dalla Sardegna, non è sardo è… sardegnolo.

I genitori di mia madre erano arrivati a Istia dalla Valdichiana nella speranza di approfittare delle agevolazioni terriere messe a disposizione dal neonato governo fascista per bonificare le malsane terre maeremmane. Non vi erano riusciti. Mio nonno, comunista convinto, quando mi raccontava questa parte della sua vita, mi diceva sempre “prendi la tessera di tutti i partiti se voi stà tranquillo”. Volevano un maschio ma… femmina, femmina, femmina e, mio nonno, si arrese. Ultimina (avrebbe dovuto essere Ultimino, un figlio solo e maschio), Elia e mia madre, Fosca. Tre ragazze, in un borgo di cinque/seicento persone, erano un’attrattiva per i ragazzi del posto ma, al tempo stesso, molti pensieri per i miei nonni. Per non correre rischi, ai pirmi “vorrei sposare tua figlia” dissero, per tre volte, subito si.

Subito dopo la guerra, gli abitanti di Istia, decisero che era ora di ricominciare a vivere. Era ora di avere una sala da ballo.
Dopo lunghe ed estenuanti giornate di lavoro, si ritrovavano, volontari, fuori dalle mura del castello ed costruivano quella che, dopo circa un anno, sarebbe diventata una vera e propria sala da ballo. La sala fu finita, non era di nessuno, era di tutti e finalmente la domenica, dopo sessatanta e più ore di lavoro settimanali… si balla!
In una di quelle serate danzanti… “a me mi piace il tu fratello, perchè non gli dici se balla con me?” era mia madre che si era rivolta a Luciana, una delle sorelle di mio padre. Mia zia fece quanto richiesto ma, dopo il ballo… “ma ho ballato con Giovanni… a me piace Lillino!”
Ballarono, si innamorarono e, dopo tre anni, si sposarono… passarono sette anni, poi, arrivai io.

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